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domenica 5 luglio 2015

Piccola esposizione - Edgardo Simone

EDGARDO SIMONE
Piccola esposizione
MUSA, via di Valesio angolo viale San Nicola - Lecce
orari: lunedì/venerdì 9-13.30 (ultimo ingresso 13)
martedì e giovedì 15.30-18 (ultimo ingresso 17.30)

È questa la prima mostra ordinata in Italia dopo la morte di Edgardo Simone, scomparso a Hollywood nel 1948, e dopo la retrospettiva organizzatagli dal figlio Silvan nel 1961, nella sua galleria di Los Angeles.

Massimo Guastella per Edgardo Simone - Da Brindisi, dopo le giovanili prove artistiche, attestate dai maestri salentini Luigi Guacci e Cesare Augusto Lucrezio, si reca nel 1908 a Roma. È affidato al magistero di Adolfo e Lorenzo Cozza, che gli consente l’accesso all’istituto di Belle Arti.

Nel triennio 1908–1911, assiste al completamento del Vittoriano, con la Dea Roma e i rilievi di Zanelli, la Fontana di Rutelli di Piazza Esedra, vede le opere dei maestri europei presenti all’Esposizione Internazionale, su tutti di Meštrovič e Rodin. È al francese e al simbolismo che si ispira nel Rimorso, perduta figura virile assisa che con il Ritratto del padre (1910) è tra le sue prime produzioni plastiche. Il suo iter artistico troverà la costante cifra stilistica nell’eclettismo dell’ambiente romano, dove confluiscono art nouveau e stile simbolista, suggestioni neobarocche e gusto art Decò dei secessionisti austriaci-tedeschi (si veda la Galera assalita), ritorno alla classicità rievocata dalla scultura dei francesi e dalla plasticità monumentale d’ispirazione michelangiolesca del serbo Meštrovič. Più che i corsi accademici, pratica i cantieri delle «due esposizioni di P. d’Armi e Valle Giulia», assiste Adolfo Laurenti nelle decorazioni per il Palazzo dell’Esposizione e osserva Giovanni Prini (vedi il Fante che bacia una donna con elmetto). 

Tra gli esiti memori del soggiorno romano va considerato il bronzeo Nudo femminile, appartenuto alla collezione del Marchese Moronti di Rieti e poi a Federico Zeri. Passato all’accademia di Belle Arti di Napoli, accoglie la lezione verista di D’Orsi, l’eclettismo di Luigi De Luca, il gusto liberty di Peppe Renda. Tra gli anni Dieci - Venti, risponde a quei caratteri una serie di statuette da salotto, in terracotta o bronzo, come il Cocchiere napoletano, Il Territoriale congedato, di vivo folclore partenopeo, il Tango di genere mondano e i soggetti femminili dai volti graziosi, nei piccoli busti, o di maliziosa sensualità, come Garçonne o Salomè con la testa del Battista dalle suggestioni simboliste e secessioniste.

Escluso il soggiorno ferrarese dove, verso il 1922, ha il «suo studio a Palazzo dei Diamanti», impegnato al progetto del concorso aggiudicatosi per il Monumento ai Caduti e ai Martiri, mai realizzato, Simone muove lungo tutta la penisola per eseguire numerosi monumenti commemorativi dei caduti della Grande Guerra. In bronzo o marmo bianco di Carrara, impiega l’ampio repertorio che gli è proprio, non privo di retorica, tra rievocazioni zanelliane, secessioniste e attenzione per l’arte classica, facendo ricorso alle poderose anatomie mestroviciane. Talvolta concepisce il monumento-fontana quale arredo urbano. Simone è apprezzato nelle rassegne espositive leccesi, da Pietro Marti a Totò Genovesi.

Sul finire del 1927, parte per gli Stati Uniti d’America, per realizzare il Monumento ai caduti di Tampa. Giunto a New York avvia il ventennio della stagione americana. Inizialmente, espone parte della produzione italiana, come i bronzetti fusi a Napoli dalla Fonderia Laganà. La padronanza delle tecniche artistiche e l’ecletticità del suo stile assicurano le attenzioni della critica, ma soprattutto della committenza per le abilità di ritrattista. Effigia, tra altri, Solomon R. Guggenheim, Thomas Edison, David Niven, Marlene Dietrich. Una mostra personale gli viene ordinata alla National Gallery di Washington. Sin dal 1929, per far fronte alla crisi, oltre ai ritratti, reitera a uso commerciale un repertorio bozzettistico di genere su temi infantili. Traduce scugnizzi e guapparielli dei vicoli napoletani in monelli chapliniani come il Bellhop (Facchino di Hotel), il Caddie o i piccoli jazzisti di colore. Le graziose statuine femminili sono tratte dall’American life.

Coast to coast esegue, con versatilità, opere di tipologia e generi diversi, dalla ritrattistica alla statuaria, dal soggetto civile alle allegorie, dal genere sacro all’oggetto d’arredo, in piccola e in larga scala, dalle statuine-lampade alle sculture da giardino. Nel 1933, naturalizzato americano, si trasferisce a Chicago, per ordinare le sue opere alla Mostra Italiana dell’Esposizione Universale. Sua ultima tappa Hollywood, dove realizza ceramiche nelle stilizzazioni Art Nouveau. Negli anni Quaranta collabora come scenografo con la Metro-Goldwyn-Mayer: dovrebbe appartenergli il Gesù Cristo che appare tra gli arredi sacri del film The song of Bernardette, vincitore degli Oscar nel 1944.

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