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martedì 2 agosto 2022

Donne e biciclette

Testo di Antonella Stelitano  per il catalogo della mostra " Ruota a ruota Storie di biciclette, manifesti e campioniedito da Silvana Editoriale.

Le prime avventurose cicliste italiane forse si ispirarono alla regina Margherita, per la quale Edoardo Bianchi in persona realizzò una bicicletta degna di una sovrana, o alla nobildonna Franca Florio che, alla fine dell’800, organizzò al Velodromo Trinacria di Palermo una delle prime corse per sole donne, tutte nobili o altolocate. O forse avevano in mente spigliate donne di spettacolo, come Lina Cavalieri, che si esibivano in pista davanti a un pubblico maschile, che pagava volentieri un biglietto per vedere questa novità delle donne in bicicletta. 


Molte però erano semplicemente ragazze attratte dal nuovo mezzo di locomozione, che diventa subito un sinonimo di libertà e di emancipazione: è il simbolo del nuovo ruolo a cui ambiscono le donne.

Del resto, rispetto a qualsiasi altro sport, la bicicletta è rivoluzione pura, perché esce dalle mura della palestra, del campo di gara, e va esibita all’esterno, sotto gli occhi di tutti. E una donna che va in bicicletta dimostra non solo di poter fare a meno di un uomo per muoversi, ma anche di saper manovrare un mezzo meccanico. Elemento questo non trascurabile, considerando che la guida in generale era cosa da uomini.  

Ma un altro elemento si dimostrò rivoluzionario: la necessità di dotarsi di un abbigliamento più «razionale» e comodo, libero dalle lunghe e pesanti gonne, da pizzi e bustini. Comparvero i primi pantaloni. Uno scandalo. 

La bicicletta sconvolge l’ordine sociale, è elemento di rottura con il passato. Per questo il mondo maschile fu piuttosto coeso nell’ostacolare e criticare, anche aspramente, questa nuova moda. Si sostenne che l’uso della bicicletta causava l’insorgere di svariate malattie, che nelle donne culminavano nel pericolo di non poter in futuro diventare madri. E se il vasto corollario di obiezioni mediche non bastava, allora si aggiungeva la condanna morale: andare in bicicletta era assolutamente disdicevole per una ragazza di sani principi. Le avrebbe tolto grazia e femminilità. Avrebbe reso il suo corpo troppo mascolino. L’avrebbe condotta a una pericolosa promiscuità dal momento che gli ambienti sportivi erano maschili. Per questo le prime cicliste furono etichettate con appellativi come matta, stravagante, indecente, diavolo in gonnella. Qualcuno usò addirittura il termine «ripugnante» e altri le definirono «il terzo sesso».  Una donna che andava in bicicletta non era socialmente accettabile. Passi l’uso moderato, la passeggiata ciclistica insieme al marito o ad altri maschi di famiglia. Ma lo sport ciclistico no. 

E di questa duplice anima la cartellonistica dell’epoca fu attenta testimone, evocando da un lato l’immagine di donne bellissime, composte ed elegantemente vestite, dall’altro donne che attirano l’attenzione del pubblico presentandosi in abiti succinti o comunque scandalosi per l’epoca.

La dimensione sportiva al femminile non era ancora entrata nella cultura del nostro Paese.  

Ma questo non fermò le prime coraggiose pioniere. Derise, ostacolate, sbeffeggiate continuarono a pedalare. Ed erano anche brave: se Alfonsina Strada porta a termine un Giro d’Italia arrivando ultima dopo 30 corridori in gara e lasciandone 60 ritirati dietro di lei, la giovane Olivia Grande il 12 ottobre 1937, a 17 anni, a Milano stabilisce su pista il record dell’ora (34.366 km).

Si dovette passare attraverso l’uso della bici da parte delle staffette partigiane, e il successivo massiccio utilizzo da parte di una nuova generazione di lavoratrici del Dopoguerra, per togliere dalla mente degli italiani l’immagine che una donna in bicicletta fosse moralmente inaccettabile. 

La bicicletta era ormai diventata il mezzo di trasporto funzionale alla ricostruzione del Paese. Così, lavata via questa patina di ottusità, il ciclismo femminile conosce, all’indomani della fine della seconda guerra mondiale, un nuovo slancio. 

C’è una data che fa da spartiacque tra una fase pionieristica e una in cui si gettano le basi per l’organizzazione di un settore ciclistico femminile. É il 1962, quando l’UNIONE VELOCIPEDISTICA ITALIANA, riconosce il ciclismo femminile a livello agonistico. 

Ormai non si può più tornare indietro.


Ruota a ruota

Storie di biciclette, manifesti e campioni

Fino al 30 Ottobre 2022

Treviso, Museo Nazionale Collezione Salce (Chiesa di S. Margherita)

RUOTA A RUOTA. Storie di biciclette, manifesti e campioni

Mostra a cura di Elisabetta Pasqualin. Consulente storica Antonella Stelitano.

Da un’idea di Chiara Matteazzi


Info: www.collezionesalce.beniculturali.it


Ufficio Comunicazione Museo Salce:

Mariachiara Mazzariol mariachiara.mazzariol@beniculturali.it tel 0422 591936

Vincenza Lasala drm-ven.comunicazione@beniculturali.it


Ufficio Stampa della Mostra

Studio ESSECI, Sergio Campagnolo 


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